16 aprile 2011

Il manipolabile Ouattara

Mi riallaccio al post precedente con una precisazione relativa agli avvenimenti in Costa D'avorio. Da una parte abbiamo Laurent Gbagbo, ex presidente, dittatore, pronto ad intervenire con le armi pur di far valere il suo diritto, autoconferitosi, di governare il paese, ma anche un presidente che si è battuto per liberare la Costa D'avorio dagli svantaggiosi accordi con la Francia, che vedono le ex colonie francesi indebitarsi inesorabilmente sempre di più in un meschino gioco di interessi e speculazioni. Alessane Ouattara ha vinto le elezioni, la democrazia vuole lui nel ruolo di presidente, ma l'intervento della Francia è ben lontano dall'essere un'azione disinteressata col puro e sommo fine di portare democrazia e libertà. La linea politica di Gbagbo sarebbe andata contro gli interessi della Francia, che armatasi ha preso provvedimenti a fianco delle Nazioni Unite. Ouattara, chiamato dai suoi avversari "il presidente straniero", si è dimostrato più influenzabile, un socio d'affari fidato, perciò si è portata altra guerra in quella terra.
Forse si è passati al meno peggio, ma sarebbe da stupidi non prendere coscienza del fatto che è il sistema economico internazionale la vera causa dei problemi dell'ex colonia francese e di molti altri stati africani. E' interesse dell'Occidente non restituire nulla alla Costa D'avorio, il redditizio mercato del caffè e del cacao non vanno allontanati dalle grinfie della comunità internazionale. Per questo si è portata altra guerra in Africa.


15 aprile 2011

Il mondo del petrolio



Siamo in un mondo nel quale sono il guadagno e gli interessi a fare la differenza tra vita e morte. Tutte le chiacchiere che dobbiamo sopportare riguardo la democrazia da difendere, le dittature da abbattere e la libertà da garantire sono intrisi, unti, soffocati dall’interesse economico. Si avvolge il tutto in un appariscente bozzolo di ideali, che alla fine si dimostrano solo parole altisonanti come “vittoria della democrazia”, “giustizia” e “libertà”. Nel caso del Medio Oriente questi paroloni servono da pesante trapunta per tenere ben al sicuro l’interesse nei confronti di quell’oro nero che ci dà molto di cui parlare in relazione a equilibri politici ed economici e disastri ambientali.

In Libia si è agito per evitare un terribile massacro di civili in protesta da parte delle forze di Gheddafi, il quale non ha mai tenuto nascoste le sue inclinazioni repressive e dittatoriali. Leggo in un articolo di Noam Chomsky pubblicato da “Internazionale” che appena il mese scorso si è concluso il processo all’ex presidente liberiano Charles Taylor davanti al tribunale internazionale sulla Sierra Leone e che tra i personaggi da incriminare i pubblici ministeri volevano inserire anche Muammar Gheddafi per aver mutilato e ucciso 1,2 milioni di persone. Cosa ha impedito l’incriminazione del presidente libico? Gran Bretagna, Stati Uniti e altri paesi non hanno voluto. Interrogato sul possibile motivo di questo intervento, il giurista statunitense David Crane ha risposto:” Benvenuti nel mondo del petrolio”.

Quando si parla di mantenere la stabilità del Medio Oriente, ci si riferisce sempre e inequivocabilmente al mantenere la situazione tale da essere più conveniente possibile per l’Occidente, non importa che ci sia una dittatura o una democrazia, libertà o repressione. Le potenze occidentali tendono a lasciar fare i dittatori in paesi ricchi di petrolio in quanto risultano clienti affidabili, con i quali magari è facile stringere accordi. Secondo Chomsky quello della Libia è stato un caso particolare: Gheddafi è un brutale dittatore, come molti altri in altri paesi del medio oriente, ma è risultato anche inaffidabile. L’appoggiare i ribelli ha creato una situazione propizia per l’Occidente che ha l’opportunità di istituire una nuova piccola terra del petrolio, protetta, con soci affidabili con i quali fare affari, come è accaduto nella regione del golfo Persico.

Mi ha fatto sorridere amaramente la vignetta di Bob Englehart che ho riportato, nella quale si mette bene in evidenza l’indifferenza e l’inefficienza di gran parte delle potenze occidentali di fronte alle repressioni, ingiustizie e alle violenze in molti paesi, quando queste non fanno vacillare affatto gli interessi economici. Non che gli interventi nelle regioni “economicamente interessanti” siano state così efficaci se non da certi punti di vista, ma dubito che lo siano state per la popolazione di quelle regioni. Nel dicembre 2010 in Costa D’avorio viene annunciata la vittoria alle elezioni di Alassane Ouattara contro il presidente Laurent Gbagbo, il quale però, nonostante l’avversario avesse ottenuto il 54,1 per cento dei voti, si è autoproclamato presidente. Le violenze non hanno tardato a scoppiare nella regione tra i sostenitori di Gbagbo e di Ouattara e gli scontri hanno provocato migliaia di vittime mentre un milione di ivoriani sono fuggiti dal paese. Gbagbo è stato arrestato dopo che le forze armate di Francia e Onu, appoggiando gli uomini di Ouattara, hanno giocato come il gatto con il topo con l’autoproclamatosi presidente, espugnando il bunker nel quale si trovava.

Senza dubbio l’intervento armato straniero ha portato a questa conclusione e quindi alla possibile fine degli scontri, ma le violenze sono andate avanti per mesi e l’impegno nel ristabilire la pace è stato abbastanza limitato. Francia e Onu hanno appoggiato Ouattara, il quale, spiega “Libération”, è già responsabile dell’uccisione di ottocento civili nell’ovest del paese, ma è il vincitore delle elezioni. Ouattara afferma di aver fatto ricorso alla violenza soltanto perché l’avversario, considerato dittatore della stessa risma di Gheddafi, non voleva farsi da parte.

"Siamo nel mondo del petrolio", questo è il titolo dell'articolo di Noam Chomsky. Il petrolio ha un peso tale da risultare una variabile importantissima al momento di decidere se intervenire e come oppure no nel salvare la vita di migliaia di persone. Che brutta piega che ha preso il mondo.


L'articolo di Noam Chomsky - Siamo nel mondo del petrolio


Libération - Ouattara, homme fort et affaibli


Bob Englehart - Englehart's view - March 30, 2011

25 febbraio 2011

Chiamiamolo genocidio

Quasi come per confermare la mia opinione, ecco che trovo con grande soddisfazione un articolo del fatto quotidiano in cui qualcun altro osa chiamare "genocidio" ciò che sta accadendo in Libia. Quanto bisognerà aspettare prima che anche chi può intervenire, chi ha la possibilità di fare la differenza e fermare il massacro si renda conto di quanto questa parola sia calzante nel definire ciò che sta avvenendo a Tripoli e nei dintorni.

Nord Africa in rivolta

Il Nord Africa è sconvolto da tumulti e rivolte in nome della libertà e dei diritti umani. La popolazione è stanca di una realtà insostenibile, di corruzioni, dittatura e privazioni dei diritti più elementari che le spetterebbero. Il successo dei manifestanti in Egitto e Tunisia ha aperto la porta alla speranza per molti altri paesi dal Nord-Africa al Medio Oriente, nei quali ora i cittadini sono per le strade e nelle piazze a cercare di far sentire la propria voce, una voce disperata, che a stento riesce a farsi udire sotto le repressioni violente di polizia e milizie. Un caso che mi è parso spaventoso è quello della Libia. Era ben noto che Gheddafi fosse un dittatore spietato, che già in passato avessa dato segnali chiari verso questa tendenza repressiva e spietata ma devo ammettere di essere rimasto senza parole mentre leggevo e ascoltavo le terribili notizie sugli scontri in Libia. Gheddafi, abbandonato dall’esercito schieratosi con i manifestanti, si serve di milizie mercenarie contro i cittadini in protesta, il tutto senza scrupoli. I soldati e i poliziotti che si rifiutano di usare la forza contro la folla vengono uccisi, i manifestanti vengono bombardati tramite raid aerei, una vera e propria guerra. Le vittime sono a migliaia e probabilmente aumenteranno, sembra quasi che il piano sia annientare tutti i cittadini che osano opporsi al regime, cittadini che osano alzare la testa, in modo da scoraggiare i pochi che rimarranno in seguito a questo massacro inconcepibile, un massacro che non fa distinzioni tra uomini donne e bambini. Alcuni piloti rifiutatisi di bombardare i cittadini in rivolta a Tripoli e nelle zone circostanti, sono atterrati a Malta chiedendo asilo politico.


"Fino ad ora non abbiamo usato la forza ... chiunque rivolgerà le armi contro lo Stato dovrà essere ucciso"


"Andate a sterminare quei ratti"


Sono queste alcune delle frasi proferite dal dittatore mentre ordinava la decimazione a cuor leggero del suo stesso popolo. Di questo passo mi sono chiesto quanto tempo debba passare prima che tutti i manifestanti siano uccisi o siano scoraggiati dalla morte insensata delle proprie famiglie e dei propri compagni in rivolta. Mi è venuto in mente il termine “genocidio”... in fondo non è del tutto fuori luogo, si tratta di un tentativo di genocidio nei confronti degli stessi cittadini libici, i quali hanno deciso che è giunto il momento del cambiamento anche per loro e resistono con accanimento.


In tutto questo il nostro premier Silvio Berlusconi invece di prendere una posizione si limita a dire che la situazione è ancora in evoluzione e che non si permette di disturbare nessuno.



Libia, decine di vittime tra i manifestanti Obama: "Gli Usa condannano la violenza"


Libia, la repressione fa più di cento morti. Berlusconi:"Non disturbo Gheddafi"


La sfida di Gheddafi: " Non me ne vado". Dilaga la rivolta, ancora bombe sulla folla.


23 gennaio 2011

“Tutti i Boscimani che chiederanno un bicchiere d’acqua, potranno averne uno”

“Tutti i Boscimani che chiederanno un bicchiere d’acqua, potranno averne uno”


I Boscimani non hanno una parola per indicare il proprio popolo: i Khoikhoi attribuirono loro il nome “San” nella cui lingua significa “straniero”, ma preferiscono farsi chiamare “boscimani” , “uomini della boscaglia”, dall’olandese “boesman” e dall’inglese “bushman”, come li chiamavano i colonizzatori occidentali.

Vivono in tribù e come qualsiasi popolo hanno la loro cultura, in questo caso millenaria, semplice dal nostro punto di vista, ma degna di tutto il nostro rispetto. Si tratta di una cultura profondamente legata alla conoscenza dell’ambiente in cui vivono da ventiduemila anni, un territorio desertico nel quale però non manca selvaggina, frutta e altri doni della natura che possono essere raccolti dalle donne delle tribù. Il loro è un habitat in cui è davvero difficile vivere, desertico, con forti venti caldi durante il giorno e freddi durante la notte dai quali si proteggono costruendo capanne e allestendo fuochi.

Ma la problematica principale dell’ambiente ostile in cui devono sopravvivere è la mancanza di acqua. Spesso, nei periodi dell’anno più secchi, la ricerca dell’acqua risulta un’attività davvero impegnativa: le tribù devono accontentarsi dei residui melmosi dei fiumi, dai quali succhiano acqua con speciali cannucce realizzate con un legno fino e servendosi di una piuma di struzzo o delle fibre ricavate dalle foglie per filtrarla, incastrandole nella cannuccia. Un metodo davvero sorprendente. Solo la perfetta conoscenza del territorio e degli esseri che ne fanno parte permette loro di sopravvivere.

Il loro rispetto per la natura, per l’equilibrio naturale, li porta a non consumare mai più di quanto serva, a non sprecare nulla delle prede uccise e a non raccogliere più del necessario. La caccia dei San prevede l’utilizzo di frecce con la punta unta da sostanze velenose ricavate da piante del loro territorio e non cacciano mai più di quanto ne abbiano bisogno. Si tratta di quell’armonia con la natura che anche altri popoli difendevano e conservavano, alla quale però sono stati strappati ingiustamente, come gli aborigeni nel “bush” australiano e i sioux nelle praterie del Nord America.

Il popolo dei Boscimani ha tante credenze e tanti miti custoditi esclusivamente dagli uomini, i quali ne vengono a conoscenza dagli anziani in coincidenza con un rito di iniziazione. Dagli anziani sono tramandate anche le tecnica di caccia e la conoscenza delle piante, indispensabili per la sopravvivenza. Gli uomini che si apprestano ad essere iniziati devono apprendere tutto ciò nella loro terra, nella quale osservano le abitudini e ascoltando i versi degli animali che vi abitano imparando poi ad imitarli.

La loro è una mitologia legata alle attività giornaliere, non c’è da stupirsi quindi che alcuni dei loro enti mitologici siano zoomorfi, come la mantide, divinità furba che oltre ad essere la causa della pioggia rende propizia la caccia e protegge i frutti. Mantide ha creato poi la luna e la notte alle quali i Boscimani ricollegano le proprie ansie e le proprie paure: la luna è una divinità malvagia, avversa, e le tribù cercano di non guardarla durante la notte per paura che questa si porti via le prede, che queste scompaiano a causa sua.

Oltre alle cerimonie di iniziazione all’età adulta, di unione e ai rituali funebri, molti riti sono rivolti al rendere propizia la battuta di caccia o la ricerca di risorse per poter sfamare la tribù: ad esempio prima di andare a caccia di un animale piuttosto veloce, questi erano soliti mangiare la carne di un animale lento, come per lanciare un incantesimo contro la preda, la quale ne doveva subire l’influsso magico. I loro riti non sono rivolti alle divinità, non sono preghiere al fine di ricevere qualcosa, poiché per i San le divinità come la Mantide sono semplicemente gli enti che hanno creato le cose che li circondano.


Queste sono a grandi linee la cultura, le abitudini e le tradizioni dei Boscimani, molto semplici dal nostro punto di vista, dal punto di vista di noi occidentali che per comprenderle a fondo dovremmo ritrovarci immersi in esse, immersi in quelle atmosfere primordiali, ritrovarci in quelle terre con il sole scottante e la sabbia negli occhi durante il giorno, e il pallore spettrale della luna durante la notte fredda. Questa è la loro cultura e tradizione. Il presidente del Botswana ha definito il loro stile di vita “un’arcaica fantasia”.

A causa del cresciuto interesse per le loro terre da parte delle compagnie minerarie, questa cultura così legata alla natura sta scomparendo, le tradizioni boscimane stanno diventando lontani ricordi. Già dopo il colonialismo queste sono state quasi completamente distrutte: i San erano costretti a lasciare le loro terre alle quali ancora oggi sono profondamente legati, costretti a lavorare come schiavi o servi, torturati e privati della libertà di cacciare in quella che per millenni era stata la terra degli antenati. Questo è un quadro che ricorre nella storia. Prima ho nominato gli aborigeni, bhè, questi hanno subito la stessa sorte, privati delle loro terre non sanno più dove andare. Persa la loro identità i superstiti, coloro che sono rimasti a ricordare la propria cultura, spesso trovano nell’alcol una via per contrastare la crescente depressione, o addirittura nel suicidio. Situazione del tutto analoga a quella dei san del Botswana.


Il governo del Botswana negli anni ottanta ha scoperto un giacimento di diamanti nella terra dei boscimani, ed ha semplicemente mandato qualcuno a dir loro che dovevano sloggiare. Ovviamente un popolo così legato al territorio dei propri antenati non abbandona la propria terra con leggerezza e spensieratezza solo perché l’uomo bianco vuole delle pietre sepolte sotto le loro colline. La loro terra è tutto per loro, come lo è per gli aborigeni e come lo era per i sioux. Sono stati sfrattati forzatamente, ci sono state operazioni di sgombero, nelle quali le loro case sono state distrutte, sono stati privati dei loro pozzi d’acqua, che sono stati smantellati e cementati , sono stati minacciati e deportati.

Il governo del Botswana Impedisce loro di raggiungere il pozzo d’acqua al quale attingevano prima degli sgomberi rendendo impossibile il loro ritorno a casa. Nonostante la sentenza favorevole al loro ritorno nelle terre ancestrali ottenuta dai Boscimani, nel 2010 la corte suprema del Botswana ha negato loro l’accesso al pozzo dove da sempre prendevano l’acqua e il permesso di cacciare in quelle che erano le loro terre. I san hanno presentato ricorso, secondo alcuni con ottime possibilità di vittoria grazie anche alla riconoscimento, da parte delle Nazioni Unite, dell’accesso all’acqua come diritto umano.

Mentre nega ai boscimani la possibilità di raggiungere l’acqua, il governo del botswana ha fatto costruire nella riserva pozzi per abbeverare la fauna locale e ha permesso alla compagnia Wilderness Safari di aprire un centro turistico nella riserva che prima era la loro terra. L’amministrattore delegato della wilderness safari ci ha tenuto a precisare che “Tutti i Boscimani che chiederanno un bicchiere d’acqua, potranno averne uno”.


Io non so se il ricorso presentato dai “San” avrà buon esito, anche se fosse, non so fino a che punto il governo del Botswana e le imprese minerarie cominceranno a considerare i Boscimani più che inquilini scomodi, più che un’ostacolo che impedisce loro di arrivare alle risorse minerarie, un ostacolo da abbattere brutalmente. E’ questo che è successo, sono stati trattati peggio degli stessi animali della riserva, torturati, portati via con la forza senza mostrare alcun rispetto per la loro cultura e la loro tradizione, riducendo drasticamente la loro popolazione. Una tribù San non osa invadere il territorio di caccia o di raccolta di un’altra tribù per rispetto nei suoi confronti e per evitare conflitti, questo è parte della loro cultura e delle loro tradizioni. Peccato che queste non fossero le usanze di coloro che hanno invaso le loro terre. La loro storia li ha condotti a dover patire enormi sofferenze a causa della mancanza di rispetto per tutto ciò che rappresentano mostrata dagli occidentali durante il colonialismo e dal governo del Botswana negli ultimi anni.


Questo succede ai deboli quando si trovano tra il più forte e il bottino che questo brama. Questo succede quando l’interesse economico diventa più importante della dignità e della sopravvivenza di un intero popolo. Nel periodo del colonialismo era all’ordine del giorno, ma oggi una tale ingiustizia non dev’essere consentita in alcun modo.

I casi analoghi a quello dei Boscimani sono molti. Ne è passata di acqua sotto i ponti del tempo del colonialismo ma non sembra aver lasciato nulla agli uomini che si sporgevano per guardarla scorrere.



Alcuni link utili:P


Peace Reporter - Boscimani, lotta per la vita


Wikipedia - Boscimani


Nel sito www.survival.it potete trovare molte altre notizie riguardanti i Boscimani e molti altri popoli in difficoltà nel mondo, oltre alle iniziative e alle campagne promosse per aiutarli.


Survival - Boscimani


Il Botswana prima tortura i Boscimani, poi li incrimina - 13 febbraio 2002


Survival Protestors target international fair in madrid


Appello di Survival: "Boicottiamo il turismo in Botswana"


Wikileaks: l'ambasciatore USA condannò lo sfratto dei boscimani

8 gennaio 2011

“Voti falsificati, crani spaccati, un’opposizione imprigionata, protestanti picchiati e le relazioni con l’europa in malora.”

“Voti falsificati, crani spaccati, un’opposizione imprigionata, protestanti picchiati e le relazioni con l’europa in malora.”


Sono queste le parole con le quali l’ “Economist” descrive, in un articolo on line del 29 dicembre, la situazione a Minsk dopo le elezioni presidenziali del 19, nelle quali Alyaksandr Lukashenko ha ottenuto quasi l’80% dei voti, esito secondo molti assai improbabile. Le critiche giungono da ogni dove, Unione Europea, Stati Uniti, ma anche dai paesi vicini, nei quali è possibile leggere sui giornali della triste vicenda della Bielorussia e ascoltare gli appelli dei funzionari stranieri affinché la violenza cessi e i manifestanti, i giornalisti e gli oppositori politici vengano rilasciati.

Sfogliando innumerevoli pagine nel web in cerca di notizie riguardanti le elezioni, sono incappato in un’intervista del giornale polacco “Warsaw Business Journal” all’ambasciatore bielorusso a Varsavia, nella quale sosteneva in pratica che “in fondo tutti gli stati hanno problemi con i diritti umani, e che spesso tali problemi sono visti in un contesto troppo ristretto, in quanto rispettare i diritti umani implicherebbe anche consentire qualsiasi tipo di libertà mediatica e di protesta cittadina”. Forse è il “qualsiasi tipo di libertà” che non va a genio al governo bielorusso, la libertà di remare contro quando lo si ritiene giusto, contro i provvedimenti dello stesso governo, libertà di non essere d’accordo, di protestare e di agire al fine di migliorare il proprio paese con i propri ideali. I diritti umani dovrebbero scendere in secondo piano di fronte alle necessità dello stato? O meglio, del governo?

Lukashenko, per quanto ne sia sempre uscito vincitore, non ha mai avuto molta fortuna con i dopo-elezione o dopo-referendum: c’è sempre stato qualcuno che è venuto a lamentarsi della presunta non correttezza degli svolgimenti, e mi sembra alquanto improbabile ipotizzare un’accordo internazionale con lo scopo di diffamare il presidente bielorusso. Se si protesta nella maggior parte dei casi qualcosa è andato storto e continua ad andare storto. Ha fatto eccezione la prima volta in cui è stato eletto, nel 1994, in seguito alla prima elezione democratica bielorussa, nella quale arrivò al comando del paese piuttosto giovane e con scarsa esperienza.

Ha mosso il suo primo passo in politica nel 1990 come deputato del soviet bielorusso e fondatore del partito “ comunisti per la democrazia” che avrebbe dovuto portare l’URSS verso una maggiore democratizzazione consentendole di rimanere abbracciata al comunismo.

Nel ’94 si ritrovò al governo di un piccolo stato, non proprio pronto ad affrontare la crisi economica alla quale inevitabilmente il paese stava andando incontro uscito dall’URSS. Con le sue manovre economiche e politiche Lukashenko si è avvicinato sempre più alla Russia, non certo nota per il suo assoluto rispetto per i diritti umani e la democrazia, puntando verso una stretta unione tra i due paesi.

Negli anni novanta ha cominciato ad aver problemi con la costituzione del paese essendo stato accusato da 110 parlamentari di averla violata, ma si risollevò con l’appoggio della Russia per mezzo di un referendum con il quale riuscì ad estendere a 7 anni il proprio mandato, e riuscì ad accumulare nuovi poteri tali da riorganizzare il parlamento bielorusso con una netta maggioranza a suo favore provocando le immediate critiche di Unione Europea, Stati Uniti e di molte organizzazioni per i diritti umani.

Situazione analoga si è verificata con le elezioni allo scadere del suo mandato nel 2001: vittoria quasi schiacciante con l’appoggio della Russia, non ritenuta legittima dai paesi occidentali.

Nel 2004 ecco un referendum con lo scopo di abbattere i limiti dei termini presidenziali, nel quale quasi l’80% dei votanti accordò la proposta, risultato ovviamente ancora contestato dall’occidente e dalle organizzazioni per i diritti umani.

Quasi scontata è poi la ricandidatura nel 2006, nella quale si assiste alla stessa storia: opposizione in piazza, vittoria di Lukashenko, manifestazioni popolari, proteste interne, critiche dall’estero, congratulazioni dalla Russia.


Non è uno scenario nuovissimo. Da che mondo è mondo chi ha il potere fa di tutto per mantenerlo nelle proprie mani e Lukashenko non è che uno dei tanti ostinati che cerca di rimanervi aggrappato calpestando chi cerca di intromettersi.


In un articolo del “Berliner Zeitug” precedente alle elezioni, pubblicato in italiano da “Internazionale” n. 877, si comprende come in provincia il presidente faccia presa sulla popolazione: l’autore dell’articolo sottolinea come Lukashenko, nonostante i problemi economici dei quali anche le sue manovre sono state la causa, sia riuscito a mantenere una sorta di ordine e di sicurezza sociale, e spiega come alla gente della provincia bielorussa possa bastare questo per concedergli di nuovo la presidenza. Secondo l’autore inoltre, proprio per questo motivo, Lukashenko avrebbe avuto comunque un buon risultato alle elezioni se si fossero svolte democraticamente. Le cose sono andate fin ora mediocremente, ma per molti cittadini la mediocrità è meglio di niente.


Questa è la situazione nella provincia, lontano da Minsk, prima delle elezioni. Ma non sembra questa la storia nella grande città dopo lo spoglio del voto. La popolazione si ammassa intorno alle prigioni, in attesa che siano rilasciati i propri cari, molti arrestati ingiustamente e picchiati solo perché si trovavano nella folla di protestanti o non vedevano i loro diritti rispettati. Il “Warsaw Business Journal” ha intervistato qualcuna delle persone nei pressi della prigione. “Illegalità, dittatura, come altro volete chiamarla?... stanno picchiando i nostri figli” dice la madre di uno degli arrestati mentre aspetta nella neve che rilascino il figlio. La moglie di Vladimir Neklyayev, uno degli oppositori più importanti di Lukashenko, ha gridato inutilmente di fronte al marito che veniva portato via dal pronto soccorso da uomini in abiti civili dopo che era stato picchiato dalle forze dell’ordine. Anche lei è in attesa...“ in questo momento non so dove sia mio marito”.

Iniziato il nuovo anno, il governo non arresta la sua campagna di repressione, colpendo i giornali e chiudendo gli uffici dell’OSCE, organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, che non aveva considerato valido l’esito delle elezioni in quanto svoltesi in un clima non democratico.


Non è certo una situazione da “Happy Free Elk”. Perdonate l’insistenza con il caso della Bielorussia, ma come specificato nell’introduzione al blog, si cerca anche di dar voce e chi non può farsi sentire altrimenti. Se avete notizie di altri casi analoghi, come questo non molto trattati dalla stampa italiana, potete farlo presente in un commento. Sono sicuro che ce ne sono.


Eccovi alcuni link di articoli utili per informarvi riguardo alla Bielorussia:


dall’Economist


http://www.economist.com/node/17800131?story_id=17800131


dal St Petersburg Times


http://www.sptimes.ru/index.php?action_id=2&story_id=33333&highlight=belarus


http://www.sptimes.ru/index.php?action_id=2&story_id=33302&highlight=belarus


dal Warsaw Business Journal


http://www.wbj.pl/article-52590-poland-condemns-post-election-violence-in-belarus.html


http://www.wbj.pl/article-52672-poland-takes-proactive-stance-on-belarus.html?typ=wbj


Un articolo in italiano:


http://www.presseurop.eu/it/content/article/436441-c-e-ancora-spazio-il-dialogo


Se ne possono trovare molti altri in internet, questi sono solo alcuni di quelli che mi sono capitati sotto gli occhi. Chi vuole davvero sapere e cerca informazioni sicuramente qualcosa trova!