23 gennaio 2011

“Tutti i Boscimani che chiederanno un bicchiere d’acqua, potranno averne uno”

“Tutti i Boscimani che chiederanno un bicchiere d’acqua, potranno averne uno”


I Boscimani non hanno una parola per indicare il proprio popolo: i Khoikhoi attribuirono loro il nome “San” nella cui lingua significa “straniero”, ma preferiscono farsi chiamare “boscimani” , “uomini della boscaglia”, dall’olandese “boesman” e dall’inglese “bushman”, come li chiamavano i colonizzatori occidentali.

Vivono in tribù e come qualsiasi popolo hanno la loro cultura, in questo caso millenaria, semplice dal nostro punto di vista, ma degna di tutto il nostro rispetto. Si tratta di una cultura profondamente legata alla conoscenza dell’ambiente in cui vivono da ventiduemila anni, un territorio desertico nel quale però non manca selvaggina, frutta e altri doni della natura che possono essere raccolti dalle donne delle tribù. Il loro è un habitat in cui è davvero difficile vivere, desertico, con forti venti caldi durante il giorno e freddi durante la notte dai quali si proteggono costruendo capanne e allestendo fuochi.

Ma la problematica principale dell’ambiente ostile in cui devono sopravvivere è la mancanza di acqua. Spesso, nei periodi dell’anno più secchi, la ricerca dell’acqua risulta un’attività davvero impegnativa: le tribù devono accontentarsi dei residui melmosi dei fiumi, dai quali succhiano acqua con speciali cannucce realizzate con un legno fino e servendosi di una piuma di struzzo o delle fibre ricavate dalle foglie per filtrarla, incastrandole nella cannuccia. Un metodo davvero sorprendente. Solo la perfetta conoscenza del territorio e degli esseri che ne fanno parte permette loro di sopravvivere.

Il loro rispetto per la natura, per l’equilibrio naturale, li porta a non consumare mai più di quanto serva, a non sprecare nulla delle prede uccise e a non raccogliere più del necessario. La caccia dei San prevede l’utilizzo di frecce con la punta unta da sostanze velenose ricavate da piante del loro territorio e non cacciano mai più di quanto ne abbiano bisogno. Si tratta di quell’armonia con la natura che anche altri popoli difendevano e conservavano, alla quale però sono stati strappati ingiustamente, come gli aborigeni nel “bush” australiano e i sioux nelle praterie del Nord America.

Il popolo dei Boscimani ha tante credenze e tanti miti custoditi esclusivamente dagli uomini, i quali ne vengono a conoscenza dagli anziani in coincidenza con un rito di iniziazione. Dagli anziani sono tramandate anche le tecnica di caccia e la conoscenza delle piante, indispensabili per la sopravvivenza. Gli uomini che si apprestano ad essere iniziati devono apprendere tutto ciò nella loro terra, nella quale osservano le abitudini e ascoltando i versi degli animali che vi abitano imparando poi ad imitarli.

La loro è una mitologia legata alle attività giornaliere, non c’è da stupirsi quindi che alcuni dei loro enti mitologici siano zoomorfi, come la mantide, divinità furba che oltre ad essere la causa della pioggia rende propizia la caccia e protegge i frutti. Mantide ha creato poi la luna e la notte alle quali i Boscimani ricollegano le proprie ansie e le proprie paure: la luna è una divinità malvagia, avversa, e le tribù cercano di non guardarla durante la notte per paura che questa si porti via le prede, che queste scompaiano a causa sua.

Oltre alle cerimonie di iniziazione all’età adulta, di unione e ai rituali funebri, molti riti sono rivolti al rendere propizia la battuta di caccia o la ricerca di risorse per poter sfamare la tribù: ad esempio prima di andare a caccia di un animale piuttosto veloce, questi erano soliti mangiare la carne di un animale lento, come per lanciare un incantesimo contro la preda, la quale ne doveva subire l’influsso magico. I loro riti non sono rivolti alle divinità, non sono preghiere al fine di ricevere qualcosa, poiché per i San le divinità come la Mantide sono semplicemente gli enti che hanno creato le cose che li circondano.


Queste sono a grandi linee la cultura, le abitudini e le tradizioni dei Boscimani, molto semplici dal nostro punto di vista, dal punto di vista di noi occidentali che per comprenderle a fondo dovremmo ritrovarci immersi in esse, immersi in quelle atmosfere primordiali, ritrovarci in quelle terre con il sole scottante e la sabbia negli occhi durante il giorno, e il pallore spettrale della luna durante la notte fredda. Questa è la loro cultura e tradizione. Il presidente del Botswana ha definito il loro stile di vita “un’arcaica fantasia”.

A causa del cresciuto interesse per le loro terre da parte delle compagnie minerarie, questa cultura così legata alla natura sta scomparendo, le tradizioni boscimane stanno diventando lontani ricordi. Già dopo il colonialismo queste sono state quasi completamente distrutte: i San erano costretti a lasciare le loro terre alle quali ancora oggi sono profondamente legati, costretti a lavorare come schiavi o servi, torturati e privati della libertà di cacciare in quella che per millenni era stata la terra degli antenati. Questo è un quadro che ricorre nella storia. Prima ho nominato gli aborigeni, bhè, questi hanno subito la stessa sorte, privati delle loro terre non sanno più dove andare. Persa la loro identità i superstiti, coloro che sono rimasti a ricordare la propria cultura, spesso trovano nell’alcol una via per contrastare la crescente depressione, o addirittura nel suicidio. Situazione del tutto analoga a quella dei san del Botswana.


Il governo del Botswana negli anni ottanta ha scoperto un giacimento di diamanti nella terra dei boscimani, ed ha semplicemente mandato qualcuno a dir loro che dovevano sloggiare. Ovviamente un popolo così legato al territorio dei propri antenati non abbandona la propria terra con leggerezza e spensieratezza solo perché l’uomo bianco vuole delle pietre sepolte sotto le loro colline. La loro terra è tutto per loro, come lo è per gli aborigeni e come lo era per i sioux. Sono stati sfrattati forzatamente, ci sono state operazioni di sgombero, nelle quali le loro case sono state distrutte, sono stati privati dei loro pozzi d’acqua, che sono stati smantellati e cementati , sono stati minacciati e deportati.

Il governo del Botswana Impedisce loro di raggiungere il pozzo d’acqua al quale attingevano prima degli sgomberi rendendo impossibile il loro ritorno a casa. Nonostante la sentenza favorevole al loro ritorno nelle terre ancestrali ottenuta dai Boscimani, nel 2010 la corte suprema del Botswana ha negato loro l’accesso al pozzo dove da sempre prendevano l’acqua e il permesso di cacciare in quelle che erano le loro terre. I san hanno presentato ricorso, secondo alcuni con ottime possibilità di vittoria grazie anche alla riconoscimento, da parte delle Nazioni Unite, dell’accesso all’acqua come diritto umano.

Mentre nega ai boscimani la possibilità di raggiungere l’acqua, il governo del botswana ha fatto costruire nella riserva pozzi per abbeverare la fauna locale e ha permesso alla compagnia Wilderness Safari di aprire un centro turistico nella riserva che prima era la loro terra. L’amministrattore delegato della wilderness safari ci ha tenuto a precisare che “Tutti i Boscimani che chiederanno un bicchiere d’acqua, potranno averne uno”.


Io non so se il ricorso presentato dai “San” avrà buon esito, anche se fosse, non so fino a che punto il governo del Botswana e le imprese minerarie cominceranno a considerare i Boscimani più che inquilini scomodi, più che un’ostacolo che impedisce loro di arrivare alle risorse minerarie, un ostacolo da abbattere brutalmente. E’ questo che è successo, sono stati trattati peggio degli stessi animali della riserva, torturati, portati via con la forza senza mostrare alcun rispetto per la loro cultura e la loro tradizione, riducendo drasticamente la loro popolazione. Una tribù San non osa invadere il territorio di caccia o di raccolta di un’altra tribù per rispetto nei suoi confronti e per evitare conflitti, questo è parte della loro cultura e delle loro tradizioni. Peccato che queste non fossero le usanze di coloro che hanno invaso le loro terre. La loro storia li ha condotti a dover patire enormi sofferenze a causa della mancanza di rispetto per tutto ciò che rappresentano mostrata dagli occidentali durante il colonialismo e dal governo del Botswana negli ultimi anni.


Questo succede ai deboli quando si trovano tra il più forte e il bottino che questo brama. Questo succede quando l’interesse economico diventa più importante della dignità e della sopravvivenza di un intero popolo. Nel periodo del colonialismo era all’ordine del giorno, ma oggi una tale ingiustizia non dev’essere consentita in alcun modo.

I casi analoghi a quello dei Boscimani sono molti. Ne è passata di acqua sotto i ponti del tempo del colonialismo ma non sembra aver lasciato nulla agli uomini che si sporgevano per guardarla scorrere.



Alcuni link utili:P


Peace Reporter - Boscimani, lotta per la vita


Wikipedia - Boscimani


Nel sito www.survival.it potete trovare molte altre notizie riguardanti i Boscimani e molti altri popoli in difficoltà nel mondo, oltre alle iniziative e alle campagne promosse per aiutarli.


Survival - Boscimani


Il Botswana prima tortura i Boscimani, poi li incrimina - 13 febbraio 2002


Survival Protestors target international fair in madrid


Appello di Survival: "Boicottiamo il turismo in Botswana"


Wikileaks: l'ambasciatore USA condannò lo sfratto dei boscimani

8 gennaio 2011

“Voti falsificati, crani spaccati, un’opposizione imprigionata, protestanti picchiati e le relazioni con l’europa in malora.”

“Voti falsificati, crani spaccati, un’opposizione imprigionata, protestanti picchiati e le relazioni con l’europa in malora.”


Sono queste le parole con le quali l’ “Economist” descrive, in un articolo on line del 29 dicembre, la situazione a Minsk dopo le elezioni presidenziali del 19, nelle quali Alyaksandr Lukashenko ha ottenuto quasi l’80% dei voti, esito secondo molti assai improbabile. Le critiche giungono da ogni dove, Unione Europea, Stati Uniti, ma anche dai paesi vicini, nei quali è possibile leggere sui giornali della triste vicenda della Bielorussia e ascoltare gli appelli dei funzionari stranieri affinché la violenza cessi e i manifestanti, i giornalisti e gli oppositori politici vengano rilasciati.

Sfogliando innumerevoli pagine nel web in cerca di notizie riguardanti le elezioni, sono incappato in un’intervista del giornale polacco “Warsaw Business Journal” all’ambasciatore bielorusso a Varsavia, nella quale sosteneva in pratica che “in fondo tutti gli stati hanno problemi con i diritti umani, e che spesso tali problemi sono visti in un contesto troppo ristretto, in quanto rispettare i diritti umani implicherebbe anche consentire qualsiasi tipo di libertà mediatica e di protesta cittadina”. Forse è il “qualsiasi tipo di libertà” che non va a genio al governo bielorusso, la libertà di remare contro quando lo si ritiene giusto, contro i provvedimenti dello stesso governo, libertà di non essere d’accordo, di protestare e di agire al fine di migliorare il proprio paese con i propri ideali. I diritti umani dovrebbero scendere in secondo piano di fronte alle necessità dello stato? O meglio, del governo?

Lukashenko, per quanto ne sia sempre uscito vincitore, non ha mai avuto molta fortuna con i dopo-elezione o dopo-referendum: c’è sempre stato qualcuno che è venuto a lamentarsi della presunta non correttezza degli svolgimenti, e mi sembra alquanto improbabile ipotizzare un’accordo internazionale con lo scopo di diffamare il presidente bielorusso. Se si protesta nella maggior parte dei casi qualcosa è andato storto e continua ad andare storto. Ha fatto eccezione la prima volta in cui è stato eletto, nel 1994, in seguito alla prima elezione democratica bielorussa, nella quale arrivò al comando del paese piuttosto giovane e con scarsa esperienza.

Ha mosso il suo primo passo in politica nel 1990 come deputato del soviet bielorusso e fondatore del partito “ comunisti per la democrazia” che avrebbe dovuto portare l’URSS verso una maggiore democratizzazione consentendole di rimanere abbracciata al comunismo.

Nel ’94 si ritrovò al governo di un piccolo stato, non proprio pronto ad affrontare la crisi economica alla quale inevitabilmente il paese stava andando incontro uscito dall’URSS. Con le sue manovre economiche e politiche Lukashenko si è avvicinato sempre più alla Russia, non certo nota per il suo assoluto rispetto per i diritti umani e la democrazia, puntando verso una stretta unione tra i due paesi.

Negli anni novanta ha cominciato ad aver problemi con la costituzione del paese essendo stato accusato da 110 parlamentari di averla violata, ma si risollevò con l’appoggio della Russia per mezzo di un referendum con il quale riuscì ad estendere a 7 anni il proprio mandato, e riuscì ad accumulare nuovi poteri tali da riorganizzare il parlamento bielorusso con una netta maggioranza a suo favore provocando le immediate critiche di Unione Europea, Stati Uniti e di molte organizzazioni per i diritti umani.

Situazione analoga si è verificata con le elezioni allo scadere del suo mandato nel 2001: vittoria quasi schiacciante con l’appoggio della Russia, non ritenuta legittima dai paesi occidentali.

Nel 2004 ecco un referendum con lo scopo di abbattere i limiti dei termini presidenziali, nel quale quasi l’80% dei votanti accordò la proposta, risultato ovviamente ancora contestato dall’occidente e dalle organizzazioni per i diritti umani.

Quasi scontata è poi la ricandidatura nel 2006, nella quale si assiste alla stessa storia: opposizione in piazza, vittoria di Lukashenko, manifestazioni popolari, proteste interne, critiche dall’estero, congratulazioni dalla Russia.


Non è uno scenario nuovissimo. Da che mondo è mondo chi ha il potere fa di tutto per mantenerlo nelle proprie mani e Lukashenko non è che uno dei tanti ostinati che cerca di rimanervi aggrappato calpestando chi cerca di intromettersi.


In un articolo del “Berliner Zeitug” precedente alle elezioni, pubblicato in italiano da “Internazionale” n. 877, si comprende come in provincia il presidente faccia presa sulla popolazione: l’autore dell’articolo sottolinea come Lukashenko, nonostante i problemi economici dei quali anche le sue manovre sono state la causa, sia riuscito a mantenere una sorta di ordine e di sicurezza sociale, e spiega come alla gente della provincia bielorussa possa bastare questo per concedergli di nuovo la presidenza. Secondo l’autore inoltre, proprio per questo motivo, Lukashenko avrebbe avuto comunque un buon risultato alle elezioni se si fossero svolte democraticamente. Le cose sono andate fin ora mediocremente, ma per molti cittadini la mediocrità è meglio di niente.


Questa è la situazione nella provincia, lontano da Minsk, prima delle elezioni. Ma non sembra questa la storia nella grande città dopo lo spoglio del voto. La popolazione si ammassa intorno alle prigioni, in attesa che siano rilasciati i propri cari, molti arrestati ingiustamente e picchiati solo perché si trovavano nella folla di protestanti o non vedevano i loro diritti rispettati. Il “Warsaw Business Journal” ha intervistato qualcuna delle persone nei pressi della prigione. “Illegalità, dittatura, come altro volete chiamarla?... stanno picchiando i nostri figli” dice la madre di uno degli arrestati mentre aspetta nella neve che rilascino il figlio. La moglie di Vladimir Neklyayev, uno degli oppositori più importanti di Lukashenko, ha gridato inutilmente di fronte al marito che veniva portato via dal pronto soccorso da uomini in abiti civili dopo che era stato picchiato dalle forze dell’ordine. Anche lei è in attesa...“ in questo momento non so dove sia mio marito”.

Iniziato il nuovo anno, il governo non arresta la sua campagna di repressione, colpendo i giornali e chiudendo gli uffici dell’OSCE, organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, che non aveva considerato valido l’esito delle elezioni in quanto svoltesi in un clima non democratico.


Non è certo una situazione da “Happy Free Elk”. Perdonate l’insistenza con il caso della Bielorussia, ma come specificato nell’introduzione al blog, si cerca anche di dar voce e chi non può farsi sentire altrimenti. Se avete notizie di altri casi analoghi, come questo non molto trattati dalla stampa italiana, potete farlo presente in un commento. Sono sicuro che ce ne sono.


Eccovi alcuni link di articoli utili per informarvi riguardo alla Bielorussia:


dall’Economist


http://www.economist.com/node/17800131?story_id=17800131


dal St Petersburg Times


http://www.sptimes.ru/index.php?action_id=2&story_id=33333&highlight=belarus


http://www.sptimes.ru/index.php?action_id=2&story_id=33302&highlight=belarus


dal Warsaw Business Journal


http://www.wbj.pl/article-52590-poland-condemns-post-election-violence-in-belarus.html


http://www.wbj.pl/article-52672-poland-takes-proactive-stance-on-belarus.html?typ=wbj


Un articolo in italiano:


http://www.presseurop.eu/it/content/article/436441-c-e-ancora-spazio-il-dialogo


Se ne possono trovare molti altri in internet, questi sono solo alcuni di quelli che mi sono capitati sotto gli occhi. Chi vuole davvero sapere e cerca informazioni sicuramente qualcosa trova!


4 gennaio 2011

PeaceReporter - Bielorussia, giro di vite ai danni dell'informazione: in carcere decine di giornalisti

PeaceReporter - Bielorussia, giro di vite ai danni dell'informazione: in carcere decine di giornalisti


“Tanti auguri a lei, al suo governo e alla sua gente, che so che la ama e questo è dimostrato da tutti i risultati delle elezioni che sono di fronte agli occhi di tutti e che tutti noi conosciamo e APPREZZIAMO.” Disse Berlusconi durante un'intervista andata in onda il 30/11/2009 in occasione di una sua visita in Bielorussia.
Eh già, tutti lo amano, si vede dalle elezioni! Il fatto che dal 1994 ad oggi nessun osservatore straniero abbia ritenuto valida una qualsiasi votazione svoltasi in Bielorussia (che si tratti di elezioni o referendum) è sicuramente una calunnia orchestrata da qualche giornalista di parte. (naturalmente sono SARCASTICO).
E il fatto che durante le ultime elezioni presidenziali ben 5 candidati dell'opposizione siano stati arrestati?
Le continue irruzione nelle sedi dei giornali di opposizione al regime?
I sequestri di computer, strumenti e  documenti dei giornalisti?
Le limitazioni agli accessi ad internet?
Gli arresti dei giornalisti?


Che all'alba del 2011, in uno dei continenti più avanzati della terra, i diritti umani possano essere calpestati così apertamente e nel più totale silenzio dei media, sinceramente, mi disgusta!

Benvenuti in Happy Free Elk

Il nostro “Happy Free Elk” nasce in una birreria di Portland (OR) ed è figlio di chiacchiere tra amici che faticano a comunicare tra loro, ma non per questo vi rinunciano.
Il sole è già basso sull’orizzonte e l’atmosfera calda del locale, la stanchezza e il sottofondo di chiacchiere, stoviglie che cozzano sui piatti e mandibole che lavorano, mette addosso un’allegria contagiosa. I tre amici sono seduti ad un tavolo d’angolo e si preparano a metter qualcosa sotto i denti dopo un viaggio durato ore. I tre si conoscono da appena poche ore ma si trovano a loro perfetto agio insieme. Due sono italiani e non parlano molto bene inglese, mentre la terza è californiana e non parla nemmeno una parola di italiano.
Ciononostante vogliono parlare. E qualsiasi stupidaggine è buona per mettere su un discorso. Si parte dalla salsa piccante che svetta nella sua bottiglietta di vetro in mezzo al tavolo e giù, un discorsone quasi comico sul grado di “hotness” della crema rossa, pronunciato in un inglese risicato e maccheronico ma abbastanza comprensibile da permettere a tutti e tre di seguire. Poi il cameriere arriva e fa un sorrisone a 32 denti chiedendo la birra che preferiscono, ignorando che i tre sono in realtà minorenni per la legge statunitense. Loro lo sanno... ma che costa provare? Scelgono la birra che vogliono assaggiare ma il cameriere chiede alla fine un documento e, con una risata, ordinano tre “root beer”. Nasce un lungo dibattito sulla stranezza di una legge che impedisce ai minori di 21 anni di bere alcolici in locali pubblici, quando invece è permesso consumarli nella propria abitazione. Di lì si passa all’altrettanto strana (almeno per i due italiani) legge che permette ai ragazzi di 16 anni di guidare un automobile, ma che vieta di portare qualcuno a bordo per un determinato periodo di tempo. Altra risata, interrotta dall’arrivo del cameriere che deve prendere l’ordinazione per le pietanze.
Uno dei tre amici è vegetariano. Non lo è da molto, ma ci tiene a seguire la scelta che ha fatto ed è orgoglioso del suo nuovo stile di vita. Le sue motivazione sono etiche.
L’uomo -sostiene lui- è un animale ed è giusto che mangi altri animali. Ma c’è modo e modo di mangiare. Il ragazzo è contrario all’allevamento degli animali. Dice: se un animale ha avuto la possibilità, come ce l’ha l’essere umano nella maggior parte dei casi, di fare le proprie scelte, di vivere libero e felice fino a che, per necessità, un uomo lo uccide per potersi nutrire e quindi sopravvivere, allora è giustissimo mangiarlo. Ma allevare un animale fin dalla nascita solo in vista di una futura macellazione (e quindi selezionarlo geneticamente per favorire alcuni caratteri più che altri, nutrirlo in modo da farlo ingrassare in fretta, tenerlo in spazi ristretti e chiusi a vita e usare tutta una serie di tecniche per massimizzare i profitti abbattendo i costi a discapito della salute dell’animale) trova che sia una terribile ingiustizia e ha deciso di non rendersene responsabile.
Quindi ordina un “veggie burger”, rispondendo con un sorriso all’occhiata scettica del cameriere. Come sempre quando ordina qualcosa di “vegetariano”, ecco saltare fuori il discorso “vegetarianismo”. 
Ma quindi tu non mangerai mai più carne?” chiede la ragazza.
“Io non ho proprio niente contro la carne! E’ giusto mangiare carne, ma dipende da come questa sia stata ricavata. Ad esempio - gettando uno sguardo al menù appoggiato al tavolo di legno- se questo Elk dal quale hanno ricavato l’hamburger descritto nel menù, prima di diventare hamburger fosse stato un “Happy Free Elk”, lo mangerei senza nessun problema! Mangerei anche un hamburger di cane, di elefante, anche uno di uomo se questo avesse avuto la possibilità di vivere felice e spensierato prima di farmi da nutrimento! D’altronde, siamo tutti animali no? Abbiamo tutti gli stessi diritti.
Ma gli uomini hanno sempre la possibilità di vivere “happy and free” la loro vita?
Ecco il nostro punto di partenza. Questo Blog nasce con la speranza di poter rendere i suoi lettori leggermente più “liberi” e “felici”. 
L’idea ci è stata data da un amico la cui libertà in questo momento è stata molto ridotta. Speriamo, con questo nostro piccolo contributo, di riuscire a dargli una voce fuori dal coro.
Speriamo inoltre, con i nostri articoli, di riuscire ad allietare tutti coloro che decideranno di seguirci, perché la felicità sta anche in questo: fare qualcosa che dia piacere.
E leggere qualcosa di “piacevole” (lo dice anche il termine) dà piacere.